sabato 8 marzo 2008

Tre buone ragioni per votare la Sinistra l'Arcobaleno

Il voto a la Sinistra l'Arcobaleno: rischioso per Confindustria, pericoloso per Berlusconi, decisivo per il futuro
di Giosuè Bove

uno

I giornali di Confindustria in queste ultime settimane hanno rivolto particolari attenzione all'andamento dei consensi verso la Sinistra l'Arcobaleno.

In un primo momento per evidenziare che dal 12,5% rilevato prima della caduta del governo Prodi si era passati al 5,6% del sondaggio pubblicato su Repubblica e relativo alla seconda decade di febbraio. Con un plauso al Partito Democratico e al decisionismo di Veltroni , che aveva avuto il merito contemporaneamente di sdoganare il centro destra, di assumere la sostanza delle ricette del neo-liberismo nostrano (dimostrandosi in qualche caso più coerenti dello stesso centro destra, nel quale sopravvivono idee protezioniste, come quelle della Lega, o addirittura keynesiane, come quelle di Tremonti) e soprattutto, con il ragionamento sul voto utile, di mettere fuori gioco la sinistra “radicale”.

In un secondo momento per sottolineare il rischio che veniva dalla successiva crescita di consenso a La Sinistra l'Arcobaleno registrato negli ultimi 10 giorni di febbraio (dal 5,6% al 7,5%). Una crescita “preoccupante” soprattuto se messa in relazione con le prospettive della crisi economica internazionale e del riaccendersi del conflitto sociale.

Negli USA gli homeless, coloro che hanno avuto la casa pignorata, requisita dalle banche e poi venduta all'asta, si stanno organizzando e stanno rioccupando le case, non sulla base di astratti ragionamenti legalitari, ma sulla base del proprio materiale e immediato interesse. Ma in nord america queste lotte non hanno partiti politici che le possono rappresentare, e dunque pur se estremamente radicali, sono costrette nell'ambito esterno alla politica e generalmente vengono schiacciate e non ottengono risultati. In Italia cosa succederebbe se dovesse giungere una crisi con quelle caratteristiche?

Molto dipenderà dal rapporto tra le classi, o per dirla con gli eufemismi che oggi vanno di moda, dai rapporti tra il mondo delle imprese ed il mondo del lavoro dipendente.

Alle elezioni il padronato, sembrano dire i giornali di Confindustria, guarderà esattamente al simbolo de La Sinistra l'Arcobaleno: se questo nuovo soggetto politico sarà ridotto a una forza testimoniale e non incidente (sotto l'8%, considerando il sistema elettorale vigente) allora si potrà usare il “pugno di ferro”. Altrimenti c'è da ragionarci sopra. Se la sinistra sarà debole, le ricette unitarie di Ichino, Colaninno, Calearo (tanti nel PD) e Brunetta (PDL) su articolo 18, detassazione degli straordinari, ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro andranno avanti. Se la sinistra, al contrario, sarà forte, ci saranno maggiori rischi per le politiche economiche propugnate da Confindustria e recepite da PD e PDL..

Al di là dei nostri limiti, delle nostre confusioni, dei nostri pasticci e pur non meritandolo pienamente, per Confindustria siamo l'unico voto pericoloso. E se è così la proprietà inversa di questa affermazione è che per i lavoratori dipendenti siamo l'unico voto utile. Non il PDL, non la destra; non il PD, non i centristi. Siamo noi l'unico voto pericoloso per i padroni, siamo noi l'unico voto utile per i lavoratori. Del resto è successo così in Germania dove Die Linke, che può essere considerato più o meno il corrispondente tedesco de la Sinistra l'Arcobaleno, in questi anni è riuscita a condizionare il quadro politico e, in sintonia con le lotte sociali, a frenare e bloccare diversi tentativi del padronato di tentare l'affondo alle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti.


due

Ancora sul Sole 24 Ore del 26/02/2008 e del 02/03/2008 il professore Roberto D’Alimonte ha pubblicato due articoli nei quali spiega che, cifre alla mano, c’è una significativa probabilità che venga fuori un “Senato zoppo”. Scrive: “ In sintesi, la presenza di diverse liste fuori dai due poli principali, Pd-Idv e Pdl-Lega, cambia la natura della competizione mettendo ancor più a rischio il conseguimento di una vera maggioranza al Senato ”. Questo accade perché “ il risultato finale non dipende solo da quante regioni si vincono ma anche da come si perde nelle regioni in cui vincono gli altri ”. Berlusconi e Veltroni lo sanno e per questo un giorno si e uno no parlano di possibili larghe intese o grandi coalizioni dopo il voto. Ciò accadrebbe anche se il PD non riuscisse a guadagnare altri voti dagli indecisi e dipende dal fatto che il Pdl non ha più con sé il centro (UDC e Rosa Bianca).

D’Alimonte aggiunge che “ il vero rischio per il Cavaliere viene paradossalmente dalla Sinistra Arcobaleno ”, perché dove vincerà il PD il Popolo delle Libertà dovrà spartirsi il rimanente 45% dei seggi con la Sinistra e le altre forze che supereranno lo sbarramento.

Di nuovo la proprietà inversa: se il vero rischio per il Cavaliere è (immeritatamente, forse) la Sinistra l'Arcobaleno, per precari, disoccupati, lavoratori, pensionati, donne il voto alla Sinistra l'Arcobaleno è l'unico voto utile: superando la soglia dell'8% si indebolisce Berlusconi al Senato e diventa possibile non solo impedire il grande inciucio PD-PDL, con uno spostamento del quadro politico a destra, ma anche fronteggiare con efficacia l'attacco delle destre e del padronato alle condizioni di vita del mondo del lavoro.

tre

Il PD non è un partito “socialdemocratico” non perché non vuole esserlo, ma perché non può esserlo. Di fronte alla ricomposizione in basso della classe, il riformismo classico, quello che ha la testa rivolta verso la classe ma i piedi posati dentro il sistema capitalistico, non aveva già da tempo più spazio. E' costretto, anche suo malgrado, a declinare il verbo del liberismo e a sottomettersi anche formalmente alla grande borghesia. Questo processo, arrivato a piena maturazione, ha prodotto anche il suo passaggio formale con la nascita del PD.

Non si può essere "socialdemocratici" innanzitutto perché c'è una impossibilità a redistribuire le briciole dei profitti e a integrare nel sistema pezzi consistenti delle classi subalterne. Oggi anche la rivendicazione salariale è "immediatamente" politica, perché mette in discussione il meccanismo della accumulazione generale. C'è da dire che proprio questa situazione rende improponibile anche l'interclassismo "buonista" inizialmente agitato da Veltroni e quella via "americana" basata sulla integrazione di alcuni e sulla esclusione totale di altri, modello che sta alle corde negli stessi USA in conseguenza della crisi economica. Sempre più il PD sarà costretto dai fatti a mettere l'accento sulla esclusione. E i prodromi si sono visti dall'entusiasmo "democratico" sul pacchetto sicurezza, che è il primo e più caratterizzante progetto di legge del loro programma. Del resto se si parla tanto, soprattutto nelle cupole dei poteri forti, della necessità della "grande coalizione" è proprio perché c'è timore che la dinamica della crisi costruisca le condizioni per un nuovo ciclo di lotte generali, in Italia e in Europa. E che, dunque, bisognerà blindare i governi ed avere il "pugno forte", meglio se "coperto" dalla dizione "democratico".


Non si può essere "socialdemocratici" perché non c'è spazio sufficiente per la mediazione tra gli interessi senza mettere in discussione pezzi rilevanti della logica del sistema: la valorizzazione del capitale, come processo economico e sociale dipende sempre più dal sistema complessivo (infrastrutture, formazione, ricerca, sanità) che dalle ore immediatamente regalate dall'operaio al padrone; ed anzi lo sfruttamento non si limita all'orario di lavoro ma pervade i tempi di vita, gli affetti, i corpi, i territori, il consumo diretto dell'ambiente. Lo schiacciamento verso il basso delle condizioni economiche di tutti i settori del lavoro dipendente e la precarietà divenuta dimensione non più solo lavorativa ma pienamente esistenziale della grande parte della popolazione, sono oggi caratteristiche essenziali di un processo di proletarizzazione (non vi sono termini altrettanto efficaci per dirlo) e di polarizzazione sociale.

E così è saltato lo schema delle due sinistre, quella riformista-socialdemocratica e quella alternativa-radicale. La prima ha anche formalmente cessato di esistere. E però il “proletariato”, questo "nuova classe operaia", fatta di precari, pensionati, operai, impiegati, tecnici, insegnanti, medici precari, giovani, studenti, disoccupati, declinata sempre più (e molto più di prima) al femminile, aggregata sempre meno dalla fabbrica e sempre più dal territorio, dalle “lotte di comunità” e potenzialmente alleata del piccolo e piccolissimo lavoro autonomo, commerciale e artigianale, sempre più simile al lavoro dipendente, ma anche delle sempre più indebitate piccole imprese agricole, è una "classe plurale" comunque davvero orfana di un partito socialdemocratico.

Se la Sinistra l'Arcobaleno non sarà residuale, potrà provare a “supplire” all'assenza e a permettere "l'elaborazione del lutto". Per farlo deve avere una trama chiara, con orizzonti definiti. Deve mettere a valore un patrimonio di forza che nonostante tutto è vivo e che nel mese di ottobre ha attraversato quei 10 giorni, dal 10 al 20 che hanno visto di nuovo un protagonismo di massa e di piazza, dal referendum sull'welfare alla grande manifestazione di Roma. Deve diventare una rete di "sinistra", rinnovando il progetto della liberazione della persona umana, e "di parte", costruendo un legame reale e strutturato (con canali formalizzati di comunicazione e di decisione) con gli interessi del mondo del lavoro e delle comunità in lotta. E deve avere un profilo di massa, potenzialmente maggioritario nel mondo che intende rappresentare. Deve offrire sulle questioni decisive un punto di vista ed una forza in grado di portarlo avanti. Nel processo generale questa sinistra deve dare il suo contributo in positivo con lezioni di costume, creatività organizzativa, profondità culturale, autorevolezza propositiva: le nuove armi della critica sono queste. E alzare il tiro è l'unico modo per cogliere il bersaglio.

Il voto a la Sinistra l'Arcobaleno è, insomma, un investimento decisivo sul futuro: può essere il punto di partenza di una soggettività politica con l'ambizione maggioritaria di rappresentare il nuovo “blocco storico”. Certo, a condizione che si potenzi la possibilità di declinare i diversi linguaggi che la composizione sociale propone; a condizione, insomma, che il percorso unitario non diventi una prigione per le diverse identità e linee di ricerca e non si pretendano unificazioni e scioglimenti, riproponendo in sostanza una forma partito tradizionale, sebbene a base più ampia; a condizione, infine, che nel percorso a venire, i “canali strutturati” con il mondo del lavoro e del non lavoro e con le lotte di comunità non siano solo una formalità, o, per dirla in altri termini, che tornino ad essere protagonisti delle decisioni politiche i soggetti sociali e che si passi da una democrazia dei rappresentanti ad una democrazia dei rappresentati;

Il voto e la partecipazione alla discussione ed al percorso unitario de La Sinistra l'Arcobaleno è oggi decisiva. Senza rinunciare alla propria autonomia e nemmeno alla propria posizione critica: anzi rilanciando la battaglia politica sui contenuti. Non mi riferisco solo ai temi programmatici, ma anche alle scelte concrete in termini di candidature eleggibili. E' evidente la sofferenza, soprattutto nel Mezzogiorno: poche donne, pochi lavoratori nelle posizioni utili. Scelte che certo non ci aiutano e che dimostrano come il cammino sia ancora lungo, tortuoso e difficile. Ciò nonostante il voto a la Sinistra l'Arcobaleno è l'unico vero “rischio” per Confindustria e per Berlusconi: il purismo minoritario, che merita tutto il rispetto per il forte carico etico e politico, non ha in questa fase la possibilità di intercettare una dimensione tale da essere incidente. E' necessario, all'opposto, un fronte ampio, con una impostazione maggioritaria ed una "lotta di lunga durata".

Abbiamo un grande lavoro da fare: davanti alle fabbriche, nelle piazze, nelle università, nei luoghi del lavoro diffuso, nei bar e nelle case, riscoprendo i comizi ed il porta a porta. Per farlo abbiamo bisogno di tutti. La situazione è difficile e si misurano oggi i livelli reali di dirigenza e di militanza, le possibilità della innovazione. Da questa difficoltà può nascere, però, la grande opportunità di una rappresentanza autonoma della sinistra.

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