venerdì 7 marzo 2008

L’ambientalismo del “fare” e il falso mito della crescita

di Enzo Falco*

E’ sotto gli occhi di tutti la stortura di uno sviluppo economico che si è voluto misurare e si continua a voler misurare solo ed esclusivamente con il reddito prodotto (Prodotto Interno Lordo):

1. le auto occupano gli spazi della città e hanno reso la nostra aria irrespirabile;

2. le risorse idriche ed energetiche, con il ritmo di consumo che abbiamo, che peraltro riguarda solo una parte del mondo, sono destinate a finire;

3. i rifiuti, al di là dei problemi di smaltimento che abbiamo già oggi, sono destinati a crescere vertiginosamente; stiamo facendo la fine della città di Leonia mirabilmente descritta da Italo Calvino;

4. negli ultimi 50 anni abbiamo perso circa 300 mila specie vegetali perdendo un patrimonio di biodiversità enorme e straordinario;

5. tutto questo riguarda, in particolare, una piccola parte del mondo mentre il resto vive nella più profonda delle povertà.

Che razza di mondo abbiamo costruito? Soprattutto se a fronte di questi aspetti negativi tutti, nessuno escluso, parlano solo ed esclusivamente di una maggiore “qualità della vita”.

Eppure già Antonio Genovesi nel XVIII secolo, da Napoli, parlava di economia civile e del fatto che l’aumento oltre una certa soglia del reddito pro-capite non aumenta la felicità, né la “qualità della vita”.

Analizziamo quanto sta succedendo:

a. la capacità produttiva aumenta sempre di più;

b. non aumenta invece il numero di compratori perché la ricchezza si concentra nelle mani di pochi;

c. se il mercato non si espande numericamente e geograficamente è chiaro che deve accelerare temporalmente.

Questo avviene attraverso due meccanismi:

d. l’innovazione continua dei prodotti che rende rapidamente obsoleti quelli “vecchi”;

e. cambia la scala dei valori: l’oggetto non ha più un “valore d’uso” ma è funzionale all’apparire e assume un “valore simbolico” quindi destinato velocemente ad invecchiare.

Se queste sono le storture del nostro modello di sviluppo che ci da ricchezza (a pochi per la verità) e non “qualità della vita/felicità” è ovvio che bisogna pensare ad un modello di sviluppo diverso.
Per dirla con Pasolini dovremmo puntare al progresso più che allo sviluppo ed in ogni caso ad uno sviluppo che non abbia come parametro di valutazione solo la ricchezza prodotta (PIL).
Dobbiamo promuovere la crescita di una economia parallela incentrata sul “valore d’uso”; promuovere le attività che producono tasselli di qualità della vita anziché merci destinate al solo consumo:

- manutenzione urbana, cura del territorio;

- educazione/istruzione e cultura;

- ricerca tecnologica ad alto contenuto ambientale e industrializzazione endogena;

- riscoperta e valorizzazione intelligente, utilizzando in positivo le nuove tecnologie, dei saperi tradizionali;

- trasporti e mobilità ecocompatibile;

- aumento delle zone pedonalizzate e uso di bici, bus e auto ecologiche;

-.agricoltura di qualità come presidio ambientale del territorio.

Tutto questo è possibile se si riesce a comporre preventivamente gli interessi dei soggetti sociali, economici e produttivi che, di norma, confliggono per poi ricomporsi solo a valle di una dura competizione.
E’ ovvio che per determinare questa composizione preventiva bisogna attivare i meccanismi di partecipazione attiva e costruttiva non solo del mondo dell’offerta mossa dal motore del profitto, ma anche e soprattutto dei cittadini, singoli o associati che non possono piegarsi alle sole logiche del profitto e del “dio denaro” che tutto “consuma”.

Tutto questo si chiama sviluppo sostenibile.

Non capisco, quindi, cosa significhi “ambientalismo del fare”. Mi piacerebbe sapere se concordano le Associazioni ambientaliste: se condividono l’Alta velocità in Val di Susa (senza se e senza ma), se concordano sul Cip6, sull’energia nucleare, sui rigassificatori, sul carbone “pulito (sic!), sulla base di Vicenza, sul Ponte sullo Stretto di Messina, sulla riduzione della Valutazione Ambientale Strategica a mero sigillo e via libera a tutto. Credo che su queste cose bisognerebbe avere una Sinistra che possa dire ancora e con maggiore forze moltissimi NO!, ma molti più SI! all’economia fondata sul “valore d’uso”. Questa è la differenza tra noi ed il Partito Democratico e più ancora con il PDL. Ma un altro grade NO lo dobbiamo dire al mito di una “crescita” che fa crescere solo i profitti e non anche l’occupazione, la qualità della vita, l’istruzione, i valori umani.

”la Sinistra, l’Arcobaleno” deve contribuire, con la partecipazione attiva di tutti, alla costruzione di quelli che sono stati definiti gli “Atelier del futuro”. Veri e propri laboratori “artigianali” di idee per un futuro migliore, se possibile per noi stessi, ma soprattutto per le future generazioni, esattamente nella logica di uno sviluppo sostenibile che non distrugga la terra e che redistribuisce la ricchezza, a partire dai più poveri, dai più deboli. Questi ultimi vogliamo continuare a rappresentare.

* Segretario provinciale dei Verdi di Caserta

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