di Giosuè Bove (*), pubblicato sulla Tribuna Politica di "Buongiorno Caserta" domenica 30 marzo 2008
E se non ci riuscissimo? E se non arrivassimo all'8% al Senato? Se, in altre parole, la sinistra non fosse rappresentata in maniera incidente nel prossimo parlamento, quali sarebbero le conseguenze? Quelli che hanno deciso di votare PD pur ritenendo di essere di sinistra, come Flores D'Arcais, avanzano il ragionamento che la sinistra non deve per forza essere “parlamentarista”, e che le lotte si possono condurre anche fuori da Camera e Senato; e che adesso è utile, contro Belusconi, votare PD. Ragionamento “in sintonia”, tranne che per le conclusioni elettorali, con i tanti simpatizzanti e militanti della sinistra che sono stati delusi dal governo Prodi e dalle rinunce che la sinistra ha fatto per mantenerlo in vita, dalle missioni militari all'welfare e che oggi sono orientati verso il non voto o per un voto “di protesta”. Al buon Flores D'Arcais, che spesso indossa il vestito di sinistra per coprire scelte di destra, ma anche agli incerti e ai delusi vorrei rispondere che certo, le lotte si organizzano “fuori”: nel 2001 il PRC aveva solo 3 senatori e una ridottissima pattuglia di deputati eppure era dentro un grandioso movimento che a Napoli nel marzo (governo di centro sinistra) e poi a Genova a luglio (con il governo di centro destra) ha dovuto fronteggiare una repressione di stampo fascista, gestita prima dagli amici di Veltroni (che oggi fa finta di scandalizzarsi rispetto ai massacri e alle torture) e poi da quelli di Berlusconi. Ma, appunto: se in quell'epoca la sinistra avesse avuto più forza parlamentare forse si sarebbe potuto intervenire preliminarmente, forse avremmo potuto contrastare l'impostazione “cilena” dell'ordine pubblico, forse Carlo Giuliani non sarebbe stato assassinato e probabilmente avremmo evitato la macelleria “messicana” di Bolzaneto.
Le lotte non possono che essere “esterne” alle istituzioni: ma non è indifferente se a difenderle restano pochissimi parlamentari, che al massimo riescono ad utilizzare le aule come tribuna di denuncia, oppure se vi è una massa critica che può incidere sulle scelte che si compiono.
Il punto è proprio questo: le due maggiori coalizioni hanno in comune l'idea di una politica a senso unico, in cui non vi sia più la “lotta di classe”, termine che fa inorridire insieme Veltroni e Berlusconi, e che preservi il primato del mercato, che in 25 anni ha capovolto l'Italia: se, infatti alla fine degli anni '70, grazie proprio alla “lotta di classe” stavamo tutti meglio, i salari erano tra i più alti d'Europa e i profitti tra i più bassi (anche se ai padroni il piatto a tavola non mancava mai...), adesso è esattamente il contrario. Entrambi, PD e PDL, vogliono evitare che si metta mano al cuore del problema italiano, appunto i salari e le pensioni, il precariato e la disoccupazione, con l'unica ricetta praticabile, cioè una politica fiscale forte e coraggiosa che finalmente attacchi i privilegi delle classi ricche e dominanti togliendo di più a chi ha di più (grande impresa, banche, speculazione finanziaria) e che in questi anni si è arricchito a dismisura e restituendo a chi invece ha meno o addirittura niente (lavoratori, pensionati, disoccupati) ed in questi anni ha perso potere d'acquisto; entrambi, PD e PDL, voglio espellere definitivamente i conflitti sociali dalla politica e hanno in testa il modello americano, in cui queste questioni semplicemente non vengono rappresentate e non hanno sbocco.
Per realizzare questo modello lor signori hanno bisogno subito di evitare proprio la rappresentanza della sinistra, in particolare al Senato, ramo del parlamento in cui, secondo questa legge incredibile, lo sbarramento per le “coalizioni a lista unica” è all'8% su base regionale e senza recupero dei voti: se la Sinistra l'Arcobaleno non dovesse farcela, PD e PDL non avrebbero alcun ostacolo per cambiare la Costituzione senza neanche la necessità del referendum confermativo. E non è un mistero la direzione che prenderebbero le cosiddette riforme.
l tentativo messo in campo dal patto guelfo-liberista di PD e PDL all'ombra di un Vaticano integralista e anti-conciliare e di una Confindustria liberista sul lavoro e protezionista sulle merci é potentemente sostenuto dai grandi mass media privati e pubblici, che con la esclusione sistematica del punto di vista della sinistra, stanno sperimentando vere e proprie “prove tecniche di regime”: per rintuzzarlo abbiamo poco tempo e poche risorse, meno di due settimane, e spazio solo nei mezzi di informazione liberi e indipendenti che per fortuna esistono e che ci ospitano. Non bastano, naturalmente: sono necessarie più iniziative, più manifesti, più volantini; bisogna “accendere la campagna elettorale”, smetterla con le discussioni ripetitive, e partecipare, andare casa per casa, nelle piazze, nei bar, nei luoghi di lavoro, dappertutto a spiegare che l'inciucio PD-PDL non solo è detestabile ma è anche direttamente contro gli interessi dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, dei pensionati, delle donne, delle comunità in lotta, perché appunto vuole togliere definitivamente la società dalla politica.
La posta in gioco, insomma, non è un senatore in più o in meno: è in gioco la possibilità di contrastare il progetto di sterilizzazione politica del conflitto sociale. Non riguarda dunque solo la sinistra, ma l'intera società del lavoro, il nostro livello di civiltà, la democrazia che rischia di diventare definitivamente un simulacro. Non possiamo “lasciarci andare”: è una battaglia decisiva e la dobbiamo fare fino in fondo.
(*) Giosué Bove, segretario della federazione provinciale di Caserta del partito della rifondazione comunista
domenica 30 marzo 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
ma se davvero non ci riuscissimo? come la "metteremo nome"? Ci sarà qualcuno che si prenderà la responsabilità dell'insuccesso elettorale? Io ne dubito...
Posta un commento