martedì 8 aprile 2008
NOI FACCIAMO UNA SCELTA DI PARTE
Noi sosteniamo le liste de “la Sinistra l’Arcobaleno”, e il candidato-premier Fausto Bertinotti, per quattro buone ragioni.
1. Perché è un voto utile alla democrazia italiana e alla rinascita della politica. La contesa elettorale non può ridursi a una partita a due, o a un referendum tra leadership spettacolari. E il futuro del paese non può essere affidato al “modello americano” , che per definizione e vocazione storica cancella la sinistra dalla rappresentanza istituzionale. Per battere la destra, la sinistra resta essenziale. Per vincere la sfida della pace che muove milioni di persone, ci vuole una sinistra forte. Per superare la crisi di fiducia, e i pericoli di declino morale dell’Italia, le idee e la forza della sinistra restano imprescindibili.
2. Perché è un voto di parte. Dalla parte dei lavoratori e dei diritti del lavoro, operaio, precario, intellettuale, sfruttato, sottopagato, umiliato. Dalla parte delle donne, dei giovani e dei nuovi cittadini e cittadine migranti in cerca di libertà. Dalla parte del rispetto per l’ambiente, minacciato da un’idea di sviluppo cieca e squilibrata. Dalla parte del valore non mercificabile del sapere e della conoscenza. Fuori da questa parzialità, che rivendichiamo come una risorsa preziosa, non c’è vera possibilità di cambiamento. E tutto si “concilia”, si omologa, si appiattisce, in un clima di conformismo dilagante.
3. Perché è un voto laico. Per fermare l’invadenza interventista delle alte gerarchie vaticane e le tentazioni neo-temporaliste della Chiesa cattolica. Per arginare le insorgenze fondamentaliste, che attaccano leggi come la 194, bloccano l’allargamento dei diritti civili, diffondono omofobia, tentano di ricondurre le donne ad un ruolo antico di soggezione. Noi non vogliamo né “guerre di religione” né antistorici steccati tra credenti e non credenti. Crediamo piuttosto che la laicità dello Stato e il primato del Parlamento siano il fondamento più solido della libertà di tutti.
4. Perché è un voto di speranza: per una sinistra capace di rigenerare se stessa, il suo modo di essere e di agire, i suoi progetti. Un obiettivo difficile, ma assolutamente necessario, che può cominciare un percorso positivo nel fuoco di queste elezioni, il 13 e 14 aprile. Noi, a questa speranza non possiamo rinunciare.
Primi firmatari
Pietro Ingrao; Marco Bellocchio, regista; Margherita Hack, astronoma; Lea Melandri, saggista e femminista; Mario Monicelli, regista; Achille Occhetto; ; Marco Revelli , storico; Gianni Rinaldini , segretario generale Fiom; Rossana Rossanda; Paolo Rossi, attore, da anarchico; Edoardo Sanguineti, poeta e saggista; Aldo Tortorella; Mario Tronti, flosofo; Dario Vergassola, attore.
Francesco Baccini, cantautore; Nanni Balestrini, scrittore; Sergio Cammariere, musicista; Ascanio Celestini, regista e attore; Leo Gullotta, attore; Wilma Labate , regista; Citto Maselli , regista; Lea Massari, attrice; Roy Paci, cantante; Paolo Pietrangeli , regista; Pasquale Scimeca, regista; Daniele Silvestri, cantautore; Piergiovanni Alleva, giuslavorista Univ. Politecnica Marche; Vezio De Lucia , urbanista; Angelo D'Orsi, storico; Gianni Ferrara , costituzionalista Univ. La Sapienza; Carlo Flamigni, docente Univ. Bologna; Francesco Garibaldo, sociologo; Giorgio Airaudo, segr. gen. Fiom Piemonte; Gian Franco Benzi, dirigente Cgil; Marco Bersani , Attac Italia; Massimo Brancato, segr. gen. Fiom Napoli; Giuseppe Chiarante, ARS; Susan George, presidente onorario Attac Francia; Giuliano Giuliani, Comitato Verità e Giustizia per Genova; La Karl du Pignè, drag queen; Fabrizio Nizzi , Action; Mimmo Pantaleo, segr. gen. Cgil Puglia; Bianca Pomeranzi , Rete femminista ; Carla Ravaioli , giornalista e ambientalista; Massimo Serafini, dirigente Legambiente; Ritanna Armeni, giornalista; Loris Campetti, giornalista; Sandro Curzi , cda RAI; Manuela Fraire, psicoanalista; Roberto Tesi Galapagos, giornalista; Aldo Garzia , giornalista e scrittore; Darwin Pastorin , giornalista e scrittore; Piero Sansonetti , direttore di Liberazione; Giuliana Sgrena, giornalista;
domenica 30 marzo 2008
La posta in gioco
E se non ci riuscissimo? E se non arrivassimo all'8% al Senato? Se, in altre parole, la sinistra non fosse rappresentata in maniera incidente nel prossimo parlamento, quali sarebbero le conseguenze? Quelli che hanno deciso di votare PD pur ritenendo di essere di sinistra, come Flores D'Arcais, avanzano il ragionamento che la sinistra non deve per forza essere “parlamentarista”, e che le lotte si possono condurre anche fuori da Camera e Senato; e che adesso è utile, contro Belusconi, votare PD. Ragionamento “in sintonia”, tranne che per le conclusioni elettorali, con i tanti simpatizzanti e militanti della sinistra che sono stati delusi dal governo Prodi e dalle rinunce che la sinistra ha fatto per mantenerlo in vita, dalle missioni militari all'welfare e che oggi sono orientati verso il non voto o per un voto “di protesta”. Al buon Flores D'Arcais, che spesso indossa il vestito di sinistra per coprire scelte di destra, ma anche agli incerti e ai delusi vorrei rispondere che certo, le lotte si organizzano “fuori”: nel 2001 il PRC aveva solo 3 senatori e una ridottissima pattuglia di deputati eppure era dentro un grandioso movimento che a Napoli nel marzo (governo di centro sinistra) e poi a Genova a luglio (con il governo di centro destra) ha dovuto fronteggiare una repressione di stampo fascista, gestita prima dagli amici di Veltroni (che oggi fa finta di scandalizzarsi rispetto ai massacri e alle torture) e poi da quelli di Berlusconi. Ma, appunto: se in quell'epoca la sinistra avesse avuto più forza parlamentare forse si sarebbe potuto intervenire preliminarmente, forse avremmo potuto contrastare l'impostazione “cilena” dell'ordine pubblico, forse Carlo Giuliani non sarebbe stato assassinato e probabilmente avremmo evitato la macelleria “messicana” di Bolzaneto.
Le lotte non possono che essere “esterne” alle istituzioni: ma non è indifferente se a difenderle restano pochissimi parlamentari, che al massimo riescono ad utilizzare le aule come tribuna di denuncia, oppure se vi è una massa critica che può incidere sulle scelte che si compiono.
Il punto è proprio questo: le due maggiori coalizioni hanno in comune l'idea di una politica a senso unico, in cui non vi sia più la “lotta di classe”, termine che fa inorridire insieme Veltroni e Berlusconi, e che preservi il primato del mercato, che in 25 anni ha capovolto l'Italia: se, infatti alla fine degli anni '70, grazie proprio alla “lotta di classe” stavamo tutti meglio, i salari erano tra i più alti d'Europa e i profitti tra i più bassi (anche se ai padroni il piatto a tavola non mancava mai...), adesso è esattamente il contrario. Entrambi, PD e PDL, vogliono evitare che si metta mano al cuore del problema italiano, appunto i salari e le pensioni, il precariato e la disoccupazione, con l'unica ricetta praticabile, cioè una politica fiscale forte e coraggiosa che finalmente attacchi i privilegi delle classi ricche e dominanti togliendo di più a chi ha di più (grande impresa, banche, speculazione finanziaria) e che in questi anni si è arricchito a dismisura e restituendo a chi invece ha meno o addirittura niente (lavoratori, pensionati, disoccupati) ed in questi anni ha perso potere d'acquisto; entrambi, PD e PDL, voglio espellere definitivamente i conflitti sociali dalla politica e hanno in testa il modello americano, in cui queste questioni semplicemente non vengono rappresentate e non hanno sbocco.
Per realizzare questo modello lor signori hanno bisogno subito di evitare proprio la rappresentanza della sinistra, in particolare al Senato, ramo del parlamento in cui, secondo questa legge incredibile, lo sbarramento per le “coalizioni a lista unica” è all'8% su base regionale e senza recupero dei voti: se la Sinistra l'Arcobaleno non dovesse farcela, PD e PDL non avrebbero alcun ostacolo per cambiare la Costituzione senza neanche la necessità del referendum confermativo. E non è un mistero la direzione che prenderebbero le cosiddette riforme.
l tentativo messo in campo dal patto guelfo-liberista di PD e PDL all'ombra di un Vaticano integralista e anti-conciliare e di una Confindustria liberista sul lavoro e protezionista sulle merci é potentemente sostenuto dai grandi mass media privati e pubblici, che con la esclusione sistematica del punto di vista della sinistra, stanno sperimentando vere e proprie “prove tecniche di regime”: per rintuzzarlo abbiamo poco tempo e poche risorse, meno di due settimane, e spazio solo nei mezzi di informazione liberi e indipendenti che per fortuna esistono e che ci ospitano. Non bastano, naturalmente: sono necessarie più iniziative, più manifesti, più volantini; bisogna “accendere la campagna elettorale”, smetterla con le discussioni ripetitive, e partecipare, andare casa per casa, nelle piazze, nei bar, nei luoghi di lavoro, dappertutto a spiegare che l'inciucio PD-PDL non solo è detestabile ma è anche direttamente contro gli interessi dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, dei pensionati, delle donne, delle comunità in lotta, perché appunto vuole togliere definitivamente la società dalla politica.
La posta in gioco, insomma, non è un senatore in più o in meno: è in gioco la possibilità di contrastare il progetto di sterilizzazione politica del conflitto sociale. Non riguarda dunque solo la sinistra, ma l'intera società del lavoro, il nostro livello di civiltà, la democrazia che rischia di diventare definitivamente un simulacro. Non possiamo “lasciarci andare”: è una battaglia decisiva e la dobbiamo fare fino in fondo.
(*) Giosué Bove, segretario della federazione provinciale di Caserta del partito della rifondazione comunista
venerdì 21 marzo 2008
La crisi agricola e ambientale della provincia di Caserta
E’ sotto gli occhi di tutti la grave crisi agricola che sta investendo le aziende casertane e i prodotti leader di questo comparto, a partire dalla mozzarella di bufala. Alla crisi che è produttiva, di commercializzazione e finanziario/bancaria fa da contraltare il fatto che i consumatori trovano sui mercati questi prodotti a costi esorbitanti. Alla fine sono penalizzate contemporaneamente le imprese agricole e gli acquirenti finali. Dove va a finire il “valore aggiunto”, cioè lo scarto tra i 5 centesimi pagati ai contadini per un mazzo d’insalata e i 2,5 euro che pagano i consumatori? Va a finire nell’infinita serie di passaggi che queste merci fanno per arrivare sulle nostre tavole. Il danno è doppio. Da un lato le imprese agricole, che hanno fatto investimenti notevoli per ammodernare le proprie aziende esponendole sul piano finanziario alle banche che oggi presentano il conto e attivano i procedimenti esecutivi di sequestro (vedi lo sciopero della fame che ha visto impegnati alcuni produttori agricoli, vedi gli scioperi e la disperazione dei tanti allevatori bufalini), devono svendere i loro prodotti frutto del loro sudore e di un’antica sapienza; dall’altro i consumatori vengono depauperati del loro potere d’acquisto attraverso l’abonorme aumento del costo che queste merci hanno sui banconi.
Siamo, come sempre, al paradosso che i meccanismi distorti di un mercato apparentemente libero che qualcuno vorrebbe ancora più libero, ma che libero non è, rende più poveri gli agricoltori e i consumatori (quelli a stipendio fisso che pagano le tasse e non riescono ad arrivare alla fine del mese) e arricchisce speculatori, commercianti disonesti, trasportatori (che inquinano), banche che sono agevolati direttamente o indirettamente dal fisco. Siamo alla metafora del Robin Wood all’incontrario, si toglie ai più poveri e si da ai più ricchi (che pagano poco e non pagono affatto le tasse).
Il governo Prodi ha tentato, sotto la forte spinta delle forze della Sinistra Arcobaleno, purtroppo timidamente di mettervi riparo, ma si sa come sono andate le cose. Quella strana zona grigia al “centro” che cura interessi che guarda caso vincono sempre, qualunque schieramento vinca le elezioni, nel timore che bisognava finalmente dare respiro ai salari e agli stipendi per restituire il maltolto (strano che le politiche di riequilibrio e di distribuzione della ricchezza debbano arrivare sempre nel secondo tempo che, peraltro, non arriva mai), fanno cadere il governo per condizionare e subordinare gli aumenti legittimi alla maggiore produttività (si defiscalizzano solo gli straordinari).
Naturalmente le imprese agricole casertane pagano anche il conto della grave crisi ambientale e dei rifiuti della nostra provincia che stenta ancora ad essere risolta. Questa grave crisi che riguarda quasi il 16% della ricchezza prodotta in Terra di Lavoro dovrebbe essere affrontata con una determinazione pari a quella del dopoguerra mentre assistiamo a politiche da pannicelli caldi assolutamente inadeguati.
Allora che fare?
Al di là delle discussioni sui massimi sistemi che presupporrebbero una politica “forte” e fortemente impegnata, una piccola concreta idea può venire dai GAS (Gruppi di acquisto solidali). La Sinistra, L’Arcobaleno li ha proposti nel proprio programma. Ci sono gruppi di cittadini/consumatori che acquistano direttamente presso le aziende agricole, avendole visitate e quindi conoscendo in loco i prodotti, generalmente autoctoni e tipici, ottimizzando la domanda e l’offerta e calmierando i prezzi. Ce ne sono diversi che funzionano davvero bene, anche in provincia di Caserta. In questo modo abbiamo la quadratura del cerchio ed si attiva un processo virtuoso.
Gli agricoltori vendono ad un prezzo equo ma remunerativo; i consumatori acquistano a costi equi e hanno prodotti freschi che si sa da dove vengono e non hanno fatto il giro del mondo per arrivare sulle proprie tavole; non si da spazio agli speculatori; non si inquina l’aria con gli scarichi dei camion che vanno su e giù per l’Italia a portare i peperoni prodotti a Francolise in Piemonte per riportarli come peperoni tipici di Carmagnola sui banchi del Centro commerciale di turno. In questo modo non aumenta il PIL (prodotto interno lordo), ma siamo tutti più felici.
Questo, ancora una volta, fa riferimento ad un diverso modello di sviluppo e ad una diversa costruzione della società.
Chi ha visto la trasmissione televisiva “Report” domenica sera ha capito che è il momento di scegliere tra chi persegue un modello che arrichisce i pochi a danno dei molti e, pur di aumentare il PIL è disposto a passare sulla testa degli esseri umani, rovinando in modo irreversibile l’ambiente, e chi vuole difendere gli interessi dei tanti e della terra che ci è stata lasciata in prestito dai nostri padri e che abbiamo il dovere di lasciare ai nostri figli.
Votare è una scelta. Scegliere bene è un investimento per il futuro.
domenica 16 marzo 2008
Ho deciso di non sprecare il mio voto
Nel lontano 1976 decisi di iscrivermi al PCI. Provenivo da un a famiglia democristiana; alcuni miei parenti rivestivano in quel partito ruoli di prestigio. Considerata la mia posizione familiare sarebbe stato naturale per me scegliere una militanza politica nella DC; ne avrei ricavato potere ed onori. Scelsi invece il Partito dei lavoratori, il Partito della sinistra, e lo feci sulla base della mia formazione cristiana ( sì proprio cristiana) ,che mi aveva insegnato i valori della solidarietà e dell’attenzione verso chi era meno fortunato di me, in una società che guarda al profitto e al mercato come unica legge , e che considera i poveri ed emarginati come un danno collaterale inevitabile e immodificabile ; volevo stare dalla parte dei più deboli, non volevo arrendermi all’idea che il sistema socio politico ed economico occidentale fosse l’unico mondo possibile.
Quel Partito cui avevo aderito per i motivi ideali suddetti, dopo la caduta del muro di Berlino, con lo sfacelo del mondo del Comunismo reale, ha subito una metamorfosi sempre più profonda in un percorso che fino ad oggi ho condiviso, convinto anche io, come molti altri, della necessità di una revisione delle analisi e dei programmi, che tenessero conto delle novità del 3° millennio, ma mai dimenticando l’ obiettivo di fondo della difesa dei diritti e della dignità delle classi più deboli della società.
La nascita del PD ha determinato però una trasformazione troppo radicale di quel partito, spostandolo su posizioni di centro moderato, con una sorte di neo interclassismo di democristiana memoria, che rischia di porre ai margini del dibattito e delle scelte politiche gli interessi di quella parte svantaggiata della nostra società, che rappresenta di certo una minoranza della popolazione , ma non per questo ,ritengo, va dimenticata e lasciata ai margini.
Come ha di recente detto il Presidente Bertinotti, anche io VOGLIO CONTINUARE AD ESSERE DI PARTE, di quella parte che non riesce ad arrivare a fine mese, di quei giovani con lavoro precario, pensionati con 450 euro mensili, ricercatori senza futuro degno della loro preparazione, ecc. ecc. Per questi motivi ho deciso di aderire e votare la SINISTRA L’ARCOBALENO , per continuare a difendere le categorie deboli di questo Paese, e per evitare una definitiva deriva moderata dello stesso PD, con un bipartitismo imperante in un processo di americanizzazione del quadro politico, che, alla fine , renderebbe indistinguibili i due schieramenti in campo.
Ho deciso di non sprecare il mio voto , dando il consenso a partiti simili fra loro, ma di dare un voto utile, utile affinché la voce dei pensionati, dei giovani, delle donne, degli emarginati, ecc. ecc. possa ancora trovare spazio in Parlamento.
Una ultima osservazione sui conflitti di classe. Veltroni ha più volte dichiarato in questi giorni che la lotta di classe è categoria del passato, e che oggi bisogna lavorare per una alleanza dei produttori che veda insieme industriali ed operai. A parte che è un po’ difficile mettere sullo stesso piano chi sullo stesso piano non lo è oggettivamente , ma se vi è o no conflitto , lo si può verificare considerando quanto è successo in queste settimane su un tema caro al nostro Presidente Napolitano, la sicurezza sui luoghi di lavoro; il Governo Prodi ha provato ad emanare norme per una maggiore tutela dei lavoratori e si è trovato immediatamente contro le organizzazioni padronali, che considerano quelle norme (la sicurezza) troppo dispendiose: alla faccia della fine dei conflitti di classe !!!.
sabato 15 marzo 2008
Gli incubi di Confindustria e i nostri sogni.
Luigi Roca, operaio di un’altra azienda del gruppo Thyssenkrupp, la Berco di Rocca Canadese, è morto suicida per mancanza di lavoro, cioè di lavoro interinale che l’azienda non gli ha confermato. A 37 anni, significava restare sulla strada, con moglie e figli. Con il lavoro, ha scritto, “ho perso la dignità”. Lavorare stanca. Ma stanca anche vivere nella precarietà, nelle incertezze quotidiane; stanca non farcela ogni mese, con l'affitto o magari il mutuo, i conti che non tornano, i prezzi che non scendono. E tu che pensi di leggere in ogni sguardo che incroci la compassione o il disprezzo.
Luigi si è impiccato, lasciando alla moglie e ai suoi due bambini solo un piccolo pezzo di carta. La sua disperazione, secondo la “politica che conta” è un fatto privato, la conseguenza di una depressione, un gesto tragico su cui non si “deve fare politica”. E così la politica, colpevole di permettere l'altalena terribile dell'impiego a termine, a chiamata, a ore, si tira fuori dalle conseguenze delle sue scelte. Luigi ha fatto un gesto estremo, certo, il più radicale possibile. Ma quella sua disperazione, quella sua fatica di vivere è la stessa di milioni di lavoratrici e lavoratori in Italia. E rischia di essere espunta, cacciata fuori, dalla politica, definitivamente: negli USA, per esempio, gli homeless, che hanno avuto la casa pignorata, requisita dalle banche e poi venduta all'asta, si stanno organizzando e stanno rioccupando le case. Pur essendo fortemente “radicali” quelle lotte non hanno però rappresentanza politica. Ridotte a “riot”, improvvise sommosse, anche molto violente, si spengono rapidamente, senza conquistare risultati durevoli.
Ecco quello che vogliono fare in Italia: tutta la strategia messa in campo dal duopolio PD-PDL è tesa esattamente ad americanizzare la politica ed il conflitto e ad impedire la rappresentanza autonoma del mondo del lavoro. Non è casuale, del resto, l'attenzione ossessiva dei giornali di Confindustria in merito all'andamento dei consensi verso la Sinistra l'Arcobaleno. In un primo momento evidenziarono che la sinistra, dal 12,5%, rilevato prima della caduta del governo Prodi, era passata al 5,6% della seconda decade di febbraio, e resero omaggio al Partito Democratico e al decisionismo di Veltroni, per aver contemporaneamente sdoganato il centro destra, assumendone sostanzialmente le ricette neo-liberiste e messo fuori gioco la sinistra “radicale” con il “discorso sul voto utile”. In un secondo momento, di fronte alla “ripresa” dei consensi alla Sinistra l'Arcobaleno negli ultimi 10 giorni di febbraio (dal 5,6% al 7,5%), gli stessi giornali hanno espresso “grande preoccupazione” e a più riprese denunciato il nuovo raggruppamento della sinistra come il “vero pericolo”, sostenendo che “solo se questo nuovo soggetto sarà ridotto a una forza testimoniale e non incidente” allora le ricette unitarie di Ichino, Colaninno, Calearo (tanti nel PD) e Brunetta (PDL) su articolo 18, detassazione degli straordinari, ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro potranno davvero andare avanti.
Forse non meritiamo pienamente questo onore, ma al di là dei nostri limiti sta di fatto che per Confindustria siamo l'unico “pericolo” e il padronato sarà molto attento proprio al risultato de La Sinistra l'Arcobaleno. Dove guarderanno loro, facendo gli scongiuri, è davvero “utile” che guardi anche il popolo del lavoro, con auspici opposti. Se avremo consensi tali da consentire l'esistenza in Italia della sinistra, potremo davvero far vivere a Confindustria il suo incubo peggiore: una politica in sintonia con il riaccendersi delle lotte e del conflitto sociale, che si contrappone alla rapina del profitto e della rendita e che impone con la lotta, nelle piazze e nelle aule parlamentari, di restituire valore, reddito, sicurezza, qualità, vita, al lavoro. Più utile di così...
martedì 11 marzo 2008
Il lavoro precario visto con gli occhi delle donne
Giovedì 6 marzo, presso la sede dell’associazione Melagrana Onlus di Santa Maria a Vico, si è svolto il secondo incontro previsto dal convegno Donne nel Terzo Millennio, organizzato dalla stessa associazione con il patrocinio della Provincia di Caserta ed il Comune di Santa Maria a Vico, dedicato al "lavoro precario visto con gli occhi delle donne". Gli interventi della sottosegretaria al Ministero del Lavoro, D.ssa Nardi, dell’Assessore Provinciale al Lavoro, Enrico Milani e dell’assessora provinciale all’ambiente Maria Carmela Caiola hanno dato subito un tono preciso alla discussione. Le parole che si dedicano alla donna che lavora o che si affaccia al mondo del lavoro assumono qualche volta un significato più denso di verità e un po’ meno retorico. E Giovedì 6 questo è successo. Un vero peccato che nella piccola sala fossero presenti ben poche donne e, tra l’altro, volti noti da sempre per il loro impegno e pensiero.
La dottoressa Nardi, tracciando un parallelo tra le carriere di un uomo e di una donna, è riuscita a raccogliere quasi tutti i nodi dell’attuale condizione femminile dando un senso preciso alle cifre che vengono spesso enumerate in queste occasioni: uguale o migliore grado di istruzione tra i due generi, uguale se non maggiore impegno nelle professione per le donne rispetto all’uomo, presenza femminile sempre più marcata anche in quelle carriere storicamente avamposto maschile eppure.. eppure le donne che lavorano sono meno degli uomini, guadagnano meno degli uomini, fanno carriera più lentamente. Cosa succede a questa lanciatissima donna? Ella si ferma, semplicemente si ferma e decide o meglio desidera o meglio le capita di volere un figlio e allora, improvvisamente, le due rette di vita fin qui parallele, si dividono e la donna resta indietro. Si potrà dire (e si dice): ha fatto una scelta. Certo. Ma quanti uomini sono costretti a scegliere quando fanno un progetto così importante? Si potrà dire (e si dice): ma la donna incinta e poi la mamma stabilisce con il figlio un rapporto forte, esclusivo. Certo. Ma quanti padri vorrebbero vivere più intensamente la loro paternità e non lo fanno per ritegno di un ruolo che agli occhi della società appare privo di valore?
Ed è questo il punto: quel periodo della nostra vita che dedichiamo ai nostri figli ha un valore enorme per la società tutta. Invece, quel desiderio, quel bisogno, finiscono per tagliare le gambe alle donne ed il mondo del lavoro perde un pezzo importantissimo di quella sensibilità ed intelligenza di cui l’altra metà del cielo è così ricca. Eppure un altro mondo è possibile.
La società si interroga sui guasti prodotti dal consumismo sfrenato, dalla corsa ai profitti, dalla globalizzazione che ha inferocito il mondo del lavoro e della produzione. Bisogna concentrare gli sforzi i nella ricerca di nuove economie che abbiano anche a cuore le persone, l’ambiente, i patrimoni artistici e culturali del mondo intero. Pensiamo, per le donne, ma per tutti: la ricerca scientifica, le energie alternative, la cura dei siti archeologici o monumentali, l’agricoltura biologica, l’allevamento non intensivo... La nota più triste del convegno, quella che ci ha portato con la mente e con il cuore laddove muoiono uomini e donne, deve condurci a rivendicare quel mondo diverso e possibile. Forse ci vuole un coraggio antico. Quello dei nostri nonni, o bisnonni, che lavoravano e vivevano in condizioni di estremo disagio e povertà ed ebbero la forza, comunque, di lottare per i loro diritti. Non ricordare il loro sacrificio, lasciare che tutto scorra, consentire ad alcuni di arricchire ed altri di morire di lavoro e’ un tradimento grande. Il più grande.
sabato 8 marzo 2008
Tre buone ragioni per votare la Sinistra l'Arcobaleno
di Giosuè Bove
uno
I giornali di Confindustria in queste ultime settimane hanno rivolto particolari attenzione all'andamento dei consensi verso la Sinistra l'Arcobaleno.
In un primo momento per evidenziare che dal 12,5% rilevato prima della caduta del governo Prodi si era passati al 5,6% del sondaggio pubblicato su Repubblica e relativo alla seconda decade di febbraio. Con un plauso al Partito Democratico e al decisionismo di Veltroni , che aveva avuto il merito contemporaneamente di sdoganare il centro destra, di assumere la sostanza delle ricette del neo-liberismo nostrano (dimostrandosi in qualche caso più coerenti dello stesso centro destra, nel quale sopravvivono idee protezioniste, come quelle della Lega, o addirittura keynesiane, come quelle di Tremonti) e soprattutto, con il ragionamento sul voto utile, di mettere fuori gioco la sinistra “radicale”.
In un secondo momento per sottolineare il rischio che veniva dalla successiva crescita di consenso a La Sinistra l'Arcobaleno registrato negli ultimi 10 giorni di febbraio (dal 5,6% al 7,5%). Una crescita “preoccupante” soprattuto se messa in relazione con le prospettive della crisi economica internazionale e del riaccendersi del conflitto sociale.
Negli USA gli homeless, coloro che hanno avuto la casa pignorata, requisita dalle banche e poi venduta all'asta, si stanno organizzando e stanno rioccupando le case, non sulla base di astratti ragionamenti legalitari, ma sulla base del proprio materiale e immediato interesse. Ma in nord america queste lotte non hanno partiti politici che le possono rappresentare, e dunque pur se estremamente radicali, sono costrette nell'ambito esterno alla politica e generalmente vengono schiacciate e non ottengono risultati. In Italia cosa succederebbe se dovesse giungere una crisi con quelle caratteristiche?
Molto dipenderà dal rapporto tra le classi, o per dirla con gli eufemismi che oggi vanno di moda, dai rapporti tra il mondo delle imprese ed il mondo del lavoro dipendente.
Alle elezioni il padronato, sembrano dire i giornali di Confindustria, guarderà esattamente al simbolo de La Sinistra l'Arcobaleno: se questo nuovo soggetto politico sarà ridotto a una forza testimoniale e non incidente (sotto l'8%, considerando il sistema elettorale vigente) allora si potrà usare il “pugno di ferro”. Altrimenti c'è da ragionarci sopra. Se la sinistra sarà debole, le ricette unitarie di Ichino, Colaninno, Calearo (tanti nel PD) e Brunetta (PDL) su articolo 18, detassazione degli straordinari, ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro andranno avanti. Se la sinistra, al contrario, sarà forte, ci saranno maggiori rischi per le politiche economiche propugnate da Confindustria e recepite da PD e PDL..
Al di là dei nostri limiti, delle nostre confusioni, dei nostri pasticci e pur non meritandolo pienamente, per Confindustria siamo l'unico voto pericoloso. E se è così la proprietà inversa di questa affermazione è che per i lavoratori dipendenti siamo l'unico voto utile. Non il PDL, non la destra; non il PD, non i centristi. Siamo noi l'unico voto pericoloso per i padroni, siamo noi l'unico voto utile per i lavoratori. Del resto è successo così in Germania dove Die Linke, che può essere considerato più o meno il corrispondente tedesco de la Sinistra l'Arcobaleno, in questi anni è riuscita a condizionare il quadro politico e, in sintonia con le lotte sociali, a frenare e bloccare diversi tentativi del padronato di tentare l'affondo alle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti.
due
Ancora sul Sole 24 Ore del 26/02/2008 e del 02/03/2008 il professore Roberto D’Alimonte ha pubblicato due articoli nei quali spiega che, cifre alla mano, c’è una significativa probabilità che venga fuori un “Senato zoppo”. Scrive: “ In sintesi, la presenza di diverse liste fuori dai due poli principali, Pd-Idv e Pdl-Lega, cambia la natura della competizione mettendo ancor più a rischio il conseguimento di una vera maggioranza al Senato ”. Questo accade perché “ il risultato finale non dipende solo da quante regioni si vincono ma anche da come si perde nelle regioni in cui vincono gli altri ”. Berlusconi e Veltroni lo sanno e per questo un giorno si e uno no parlano di possibili larghe intese o grandi coalizioni dopo il voto. Ciò accadrebbe anche se il PD non riuscisse a guadagnare altri voti dagli indecisi e dipende dal fatto che il Pdl non ha più con sé il centro (UDC e Rosa Bianca).
D’Alimonte aggiunge che “ il vero rischio per il Cavaliere viene paradossalmente dalla Sinistra Arcobaleno ”, perché dove vincerà il PD il Popolo delle Libertà dovrà spartirsi il rimanente 45% dei seggi con la Sinistra e le altre forze che supereranno lo sbarramento.
Di nuovo la proprietà inversa: se il vero rischio per il Cavaliere è (immeritatamente, forse) la Sinistra l'Arcobaleno, per precari, disoccupati, lavoratori, pensionati, donne il voto alla Sinistra l'Arcobaleno è l'unico voto utile: superando la soglia dell'8% si indebolisce Berlusconi al Senato e diventa possibile non solo impedire il grande inciucio PD-PDL, con uno spostamento del quadro politico a destra, ma anche fronteggiare con efficacia l'attacco delle destre e del padronato alle condizioni di vita del mondo del lavoro.
tre
Il PD non è un partito “socialdemocratico” non perché non vuole esserlo, ma perché non può esserlo. Di fronte alla ricomposizione in basso della classe, il riformismo classico, quello che ha la testa rivolta verso la classe ma i piedi posati dentro il sistema capitalistico, non aveva già da tempo più spazio. E' costretto, anche suo malgrado, a declinare il verbo del liberismo e a sottomettersi anche formalmente alla grande borghesia. Questo processo, arrivato a piena maturazione, ha prodotto anche il suo passaggio formale con la nascita del PD.
Non si può essere "socialdemocratici" innanzitutto perché c'è una impossibilità a redistribuire le briciole dei profitti e a integrare nel sistema pezzi consistenti delle classi subalterne. Oggi anche la rivendicazione salariale è "immediatamente" politica, perché mette in discussione il meccanismo della accumulazione generale. C'è da dire che proprio questa situazione rende improponibile anche l'interclassismo "buonista" inizialmente agitato da Veltroni e quella via "americana" basata sulla integrazione di alcuni e sulla esclusione totale di altri, modello che sta alle corde negli stessi USA in conseguenza della crisi economica. Sempre più il PD sarà costretto dai fatti a mettere l'accento sulla esclusione. E i prodromi si sono visti dall'entusiasmo "democratico" sul pacchetto sicurezza, che è il primo e più caratterizzante progetto di legge del loro programma. Del resto se si parla tanto, soprattutto nelle cupole dei poteri forti, della necessità della "grande coalizione" è proprio perché c'è timore che la dinamica della crisi costruisca le condizioni per un nuovo ciclo di lotte generali, in Italia e in Europa. E che, dunque, bisognerà blindare i governi ed avere il "pugno forte", meglio se "coperto" dalla dizione "democratico".
Non si può essere "socialdemocratici" perché non c'è spazio sufficiente per la mediazione tra gli interessi senza mettere in discussione pezzi rilevanti della logica del sistema: la valorizzazione del capitale, come processo economico e sociale dipende sempre più dal sistema complessivo (infrastrutture, formazione, ricerca, sanità) che dalle ore immediatamente regalate dall'operaio al padrone; ed anzi lo sfruttamento non si limita all'orario di lavoro ma pervade i tempi di vita, gli affetti, i corpi, i territori, il consumo diretto dell'ambiente. Lo schiacciamento verso il basso delle condizioni economiche di tutti i settori del lavoro dipendente e la precarietà divenuta dimensione non più solo lavorativa ma pienamente esistenziale della grande parte della popolazione, sono oggi caratteristiche essenziali di un processo di proletarizzazione (non vi sono termini altrettanto efficaci per dirlo) e di polarizzazione sociale.
E così è saltato lo schema delle due sinistre, quella riformista-socialdemocratica e quella alternativa-radicale. La prima ha anche formalmente cessato di esistere. E però il “proletariato”, questo "nuova classe operaia", fatta di precari, pensionati, operai, impiegati, tecnici, insegnanti, medici precari, giovani, studenti, disoccupati, declinata sempre più (e molto più di prima) al femminile, aggregata sempre meno dalla fabbrica e sempre più dal territorio, dalle “lotte di comunità” e potenzialmente alleata del piccolo e piccolissimo lavoro autonomo, commerciale e artigianale, sempre più simile al lavoro dipendente, ma anche delle sempre più indebitate piccole imprese agricole, è una "classe plurale" comunque davvero orfana di un partito socialdemocratico.
Se la Sinistra l'Arcobaleno non sarà residuale, potrà provare a “supplire” all'assenza e a permettere "l'elaborazione del lutto". Per farlo deve avere una trama chiara, con orizzonti definiti. Deve mettere a valore un patrimonio di forza che nonostante tutto è vivo e che nel mese di ottobre ha attraversato quei 10 giorni, dal 10 al 20 che hanno visto di nuovo un protagonismo di massa e di piazza, dal referendum sull'welfare alla grande manifestazione di Roma. Deve diventare una rete di "sinistra", rinnovando il progetto della liberazione della persona umana, e "di parte", costruendo un legame reale e strutturato (con canali formalizzati di comunicazione e di decisione) con gli interessi del mondo del lavoro e delle comunità in lotta. E deve avere un profilo di massa, potenzialmente maggioritario nel mondo che intende rappresentare. Deve offrire sulle questioni decisive un punto di vista ed una forza in grado di portarlo avanti. Nel processo generale questa sinistra deve dare il suo contributo in positivo con lezioni di costume, creatività organizzativa, profondità culturale, autorevolezza propositiva: le nuove armi della critica sono queste. E alzare il tiro è l'unico modo per cogliere il bersaglio.
Il voto a la Sinistra l'Arcobaleno è, insomma, un investimento decisivo sul futuro: può essere il punto di partenza di una soggettività politica con l'ambizione maggioritaria di rappresentare il nuovo “blocco storico”. Certo, a condizione che si potenzi la possibilità di declinare i diversi linguaggi che la composizione sociale propone; a condizione, insomma, che il percorso unitario non diventi una prigione per le diverse identità e linee di ricerca e non si pretendano unificazioni e scioglimenti, riproponendo in sostanza una forma partito tradizionale, sebbene a base più ampia; a condizione, infine, che nel percorso a venire, i “canali strutturati” con il mondo del lavoro e del non lavoro e con le lotte di comunità non siano solo una formalità, o, per dirla in altri termini, che tornino ad essere protagonisti delle decisioni politiche i soggetti sociali e che si passi da una democrazia dei rappresentanti ad una democrazia dei rappresentati;
Il voto e la partecipazione alla discussione ed al percorso unitario de La Sinistra l'Arcobaleno è oggi decisiva. Senza rinunciare alla propria autonomia e nemmeno alla propria posizione critica: anzi rilanciando la battaglia politica sui contenuti. Non mi riferisco solo ai temi programmatici, ma anche alle scelte concrete in termini di candidature eleggibili. E' evidente la sofferenza, soprattutto nel Mezzogiorno: poche donne, pochi lavoratori nelle posizioni utili. Scelte che certo non ci aiutano e che dimostrano come il cammino sia ancora lungo, tortuoso e difficile. Ciò nonostante il voto a la Sinistra l'Arcobaleno è l'unico vero “rischio” per Confindustria e per Berlusconi: il purismo minoritario, che merita tutto il rispetto per il forte carico etico e politico, non ha in questa fase la possibilità di intercettare una dimensione tale da essere incidente. E' necessario, all'opposto, un fronte ampio, con una impostazione maggioritaria ed una "lotta di lunga durata".
Abbiamo un grande lavoro da fare: davanti alle fabbriche, nelle piazze, nelle università, nei luoghi del lavoro diffuso, nei bar e nelle case, riscoprendo i comizi ed il porta a porta. Per farlo abbiamo bisogno di tutti. La situazione è difficile e si misurano oggi i livelli reali di dirigenza e di militanza, le possibilità della innovazione. Da questa difficoltà può nascere, però, la grande opportunità di una rappresentanza autonoma della sinistra.